Nella Città vecchia, a Gerusalemme, a metà strada circa tra le Porte di Damasco e Giaffa, c’è un piccolo ristorante arabo, ben noto ai gerosolimitani di ogni estrazione e appartenenza per l’eccellenza del suo hummus – alcuni sostengono sia addirittura il migliore del mondo. Entrando, lo sguardo cade subito su un grande pentolone di ghisa, oltre il bancone, fumante di ceci e spumato d’amido sul bordo. Accanto, un uomo robusto, perfettamente rasato e col sorriso di chi le ha viste tutte scolpito sotto il naso, guarnisce le generose porzioni di hummus con ceci interi o fūl, olio e prezzemolo. Al Lina Restaurant mi ci portò per la prima volta un amico poeta, un ebreo argentino da anni ormai residente a Gerusalemme, docente di Letterature latinoamericane presso la Hebrew University. Si parlava, ricordo, di Borges, Onetti e Juan José Saer, mentre la cremosa (trans-etnica e trans-religiosa) purea di ceci, servitaci con pinoli leggermente scottati, pita calda e cetrioli sottaceto, ci strappava reiterati mormorii di consenso. Una luce gialla, come un riflesso di sabbie antiche, penetrava dalle vetrine, poggiandosi sul frigorifero delle bibite e sul tavolo animato di due studentesse, trasfigurando gli iPhone deposti e gli auricolari in talismani giapponesi.
2 Comments
Marco
1/26/2015 08:36:34 am
In una sonnecchiante cittadina di provincia, piemontese (peraltro ben nota a Federico), trovo sempre il mio hummus (egiziano, quasi certo) trans-religioso, non foss'altro perchè io sono ateo - una transreligiosità quantomeno individuale, tra me e chi me lo serve.
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Federico Italiano
1/26/2015 09:30:36 am
Grazie, Marco, per questa saporita aggiunta!
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AuthorFederico Italiano © Daniel K. Zegnalek
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March 2019
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