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Federico Italiano
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Scritti sulla mia poesia

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Antologia della critica 2011-2017



Playlist. Il meglio del 2017 – supplemento della rivista settimanale Internazionale uscito il 6 dicembre 2017. Christian Raimo ha incluso il mio libro Un esilio perfetto. Poesie scelte 2000-2015 (Feltrinelli Zoom) tra i quattro migliori libri di poesia del 2017 [onorato della scelta, sebbene il mio libro sia del 2015]. Scrive Raimo: "Italiano sembra riconoscere come il nostro tempo sia immobile, chiuso nell'incanto di uno sguardo. La poesia sa come specchiarlo"



​Federico Italiano – Aiace è morto. In: Paolo Febbraro, Poesia d’oggi. Un’antologia italiana
. Premessa di Armando Massarenti. Roma: Elliot Edizioni, 2016. [Commento alla mia poesia "Aiace è morto", pubblicato nella rubrica Poesia d'oggi a cura di P. Febbraro su Il Sole 24 Ore-Domenica, 29 settembre 2013]
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​​Il titolo scelto da Federico Italiano 
per il suo terzo libro di versi, L’impronta – una somiglianza per contatto originata dalla pressione di un oggetto su una superficie modellabile, dove il processo può essere inteso in senso sia letterale che metaforico, e il risultato libera una dialettica paradossale e anacronistica di presenza e assenza che elude i parametri della rappresentazione e della mimesi, come ha spiegato Georges Didi-Huberman in un’opera importante – è indice di alcune pratiche compositive e di poetica manifestatesi nella poesia di Italiano ben prima di questa tappa. Per comprendere meglio i tratti singolari dell’esito più recente è dunque opportuno un confronto con qualcosa di analogo, ma come si vedrà non identico, scritto in passato; e l’accostamento dell’inizio dell’ultima raccolta con la fine della precedente sembra particolarmente indicato allo scopo, per mettere in luce un’articolazione che è sia continuità che distacco [...]

Federico Francucci, Recesione a L'impronta, in: Semicerchio. Rivista di poesia comparata. LII 01/2015, pp. 154-155. Leggi qui la versione integrale.




​​In poesia, la strategia
conta più dell’istinto. Federico Italiano è un poeta nato con la camicia, il Messia della new wave della lirica italica. Ha esordito nel 2003 (Nella costanza, per le Edizioni Atelier), ha piazzato un “libro d’arte” nel 2006 (I Mirmidoni, per Il Faggio), introdotto da Giancarlo Majorino, è esploso nel 2010 con L’invasione dei granchi giganti [...] Ora è in libreria con L’impronta, elegante collana sperimentale (“i domani”) curata dal più autorevole critico letterario del nostro tempo, Andrea Cortellessa [...]

Davide Brullo,  Federico Italiano, il poeta che guida la nostra new wave, in: Il Giornale, 23 novembre 2014. [Recensione a L'impronta]. Leggi qui la versione integrale.





Che felice sorpresa, la lettura di questo sottile e resistente (nel senso di compatto, forte e sicuro della sua voce) libro di versi del giovane poeta e critico Federico Italiano: così fieramente lontano da stili e contenuti imperanti nella flebile, introspettiva e generica produzione letteraria dei suoi coetanei. Italiano ha qualcosa da dire, finalmente, ed è completamente padrone dei mezzi a sua disposizione per dirlo. Forse perché vive e lavora, occupandosi di arte-filosofia-scienza, tra Monaco e Vienna, estraneo quindi al provincialismo culturale della nostra penisola; o forse perché quotidianamente si misura con un'altra lingua, razionale e dura come il tedesco. Le elogiative parole che gli dedica Davide Rondoni nella quarta di copertina suonano quasi inadeguate, minimaliste:  “una possibile epica... la possibile letizia... misteriosa grazia e libertà...”. 
Qui in realtà siamo davanti a qualcosa di diverso e di nuovo, a un poeta che riesce a scrivere di una quotidianità fatta di gesti concreti, di osservazioni puntuali sulla realtà, rifiutando qualsiasi edulcorante retorica. I ritratti dei personaggi, ad esempio, che ce li restituiscono nella loro disarmata e compiuta interezza (l'ostetrica  del paese, il giocatore di scacchi siriano...).
O i ricordi, mai autocelebrativi, mai nostalgicamente commossi: (il terrificante crocefisso della stanza dei giochi, il dopobarba del papà tornato dal suo lavoro in Africa, l'alba traslunata di Miami...). Italiano parte dalla vividezza di un particolare, per poi risalire con intelligenza descrittiva alla costruzione di un episodio in cui la poesia si cala proprio per la sua peculiare e straniante unicità. I versi raccontano squarci di vita vissuta, con la tranquilla limpidezza di una narrazione che sa farsi immagine quasi filmica, come nella descrizione di una notte nordica in cui gli addetti alla nettezza urbana spargono le strade innevate di sale e terriccio: “Rincasavo con lo sguardo sbilenco / ondulante tra i miei passi e le luci / delle poche finestre accese, quando // un camion evacuò ghiaia rombante / alle mie spalle...”
Uno stile molto personale, che aderisce al concetto, non si lascia sedurre dalle sirene di musicalità obsolete, o dai tentacoli di una tradizione asfissiante. E sa misurarsi con la storia, quella addirittura universale, tellurica, che osserva con l'intatto stupore e con la curiosità scientifica dello studioso: e con le storie private della sua esistenza, gli incontri, i viaggi, gli amori. Vicende sentimentali raccontate con asciuttezza ed ironia (“Relazione lessicale, la nostra, mio melograno, / mio polipo, culinaria, hai sempre amato / una certa alchimia da fornello. / Una comunicazione ipotattica, disciplinatamente / ternaria, indeuropea.”), e autoritratti che nulla concedono al compiacimento egotistico: “Poiché non da pianura, / ma dal fronte dei monti fui edotto, / educato alla venerazione del mammut”. Una volta tanto, quindi, nella nostra poesia, un autore non mette in primo le venerate  pieghe e piaghe della sua anima, ma la scienza (ad esempio), scandagliata nei suoi esperimenti e laboratori, con studiata applicazione nei riguardi del mondo animale (granchi, ostriche, làdani, mustelidi, lombrichi...). La geologia, testimonianza evidente e innegabile della nostra insignificanza di fronte al rincorrersi delle ere (“... il progetto orografico del Buon Dio... il cuore lo fissai al testo dei miei fossili”). E soprattutto la storia del mondo, che tutto trasforma, macina, inghiotte, confonde. Come nel poemetto “I Mirmidoni”, in cui un gruppetto internazionale di giovani in un caffè di Monaco amoreggia, spettegola, sbevazza: involontari eredi e professionali comparse dei guerrieri greci, spettrali nei loro scudi, gambiere, archi e spade. O nella prima sezione del volume, forse la più interessante, in cui si ipotizza (o si vagheggia?) un' inarrestabile invasione di rospi, locuste o granchi giganti che da chissà quali sconosciuti antipodi dilaghi nel mondo occidentale, mettendo fine al suo degrado morale, civile e ambientale: “Popolo che muovi sotto le acque, prelibata / carne della distruzione, migrazione / disgiuntiva della ricchezza, / bilancia del consorzio umano, inconsapevole / armata della storia, / moltìplicati, / perché la piaga sia piena e la punizione completa.”   Profezia visionaria di una lucidissima coscienza poetica.

Alida Airaghi, in: Atelier, n. 65, marzo 2012, pp. 113-14.
A. Airaghi ha pubblicato una versione ridotta della sua recensione anche
qui








​Federico Italiano - L'infinito dietro la cornice, in: Riccardo Donati, La musica muta delle immagini. Sondaggi critici su poeti d'oggi e arti della visione. Con una nota di Daniela Brogi. Lentini: Duetredue Edizioni, 2017, pp. 119-130. 


Non è inusuale, nell'articolato scenario dell'attuale poesia italiana, trovare autori che traggano ispirazione dai loro ricordi e dalle loro impressioni infantili; meno consueto è però il richiamo all'immaginario avventuroso alimentato dai classici per l'infanzia sette, otto e novecenteschi. Gli eroi di carta come Lemuel Gulliver, Sandokan, Michele Strogoff sono infatti solitamente appannaggio delle generazioni precedenti, che gelosamente ne custodiscono una memoria appassionata, laddove la fantasticazione dei nati negli anni Settanta e Ottanta si radica principalmente nell’etere televisivo. Un’interessante eccezione è rappresentata da Federico Italiano, voce tra le più notevoli della poesia contemporanea, e in particolare dalla poesia  sopra riprodotta [Dersu Uzala]. In questo testo, tratto dalla raccolta L'invasione dei granchi giganti, dove domina un’ambientazione nordica, glaciale, anzi artico-siberiana, Italiano traccia quella che potremmo definire una vera e propria cartografia emotiva, frutto di una sapiente miscela verbo-visiva dove scenari reali e luoghi dell’immaginario si fondono per dar vita a un personalissimo paesaggio interiore.
[...]

Riccardo Donati, "Interferenza04# – L'infinito dietro la cornice" , in: Arabeschi Rivista internazionale di studi su letteratura e visualità. n. 7, gennaio-giugno 2016, pp. 111-116. Leggi qui la versione integrale apparsa sul cartaceo. 

[Saggio dedicato alla mia poesia "Dersu Uzala", tratta da L'invasione dei granchi giganti ora compresa in Un esilio perfetto. Poesie scelte 2000-2015] 
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​Giuliano Ladolfi, "Federico Italiano: La consistenza del reale nella parola", in: Poesia del Novecento. Dalla fuga alla ricerca della parola. Vol. 5. L'età globalizzata. A cura di G. Ladolfi. Borgomanero: Giuliano Ladolfi Editore, 2015, pp. 277-283. 
​[Saggio articolato, con vario materiale bio-bibliografico da Nella costanza a L'impronta]

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​"Die Stimme der Wächter. Der italienische Dichter Federico Italiano dichtet im Café der Glyptothek...". 

[Articolo sul poemetto "I custodi della Glittoteca" da Nella costanza, in tedesco]

Nicolas Freund, Süddeutsche Zeitung, 2. Sept. 2013.










































Giuliano Ladolfi, "Federico Italiano - La consistenza del reale" [tre poesie]. In: Poeti italiani del Duemila
. A cura di Giuliano Ladolfi, Bari: Palomar 2011, pp. 219-227 [cappello introduttivo e articolato commento per ogni testo antologizzato]











La passione scientifica dell’autore per i luoghi e per le mappe, teorizzata nei suoi saggi di ‘geopoetica’, confluisce coerentemente anche all’interno dell’ultimo lavoro in versi di Federico Italiano. Fedele a un’idea sostanziale che l’autore ha della poesia, la sua lingua tenta qui un viaggio ai limiti del fantastico, attraverso un tempo e uno spazio i cui confini corrispondono sempre meno a quelli geografici e per mezzo di un aggiornamento e allargamento del lessico base della lirica, al fine di esaudire la scrittura di una visione del mondo quanto mai “post-moderna”. Uno stile che non resterà immune da certe finezze metaforiche («il mio materasso è un pendio / giallo, costiero» e «dal mio stomaco quadrangolare / fuori dalla mia edicola insonne») che lungo il procedere del libro traslano il viaggio stesso dalle straniate topografie della prima parte Invasioni («in cui una pagina era una mappa, geografia / rilievo») alla volta di un’indagine più interna, non immune dalla necessità di una perlustrazione riutilizzabile solo in chiave più personale, privata, simbolica: forse anche Italiano scrive a sua volta un Voyage autour de ma chambre, soprattutto nell’ultima parte nominata, con forte introflessione del movimento, La nuova lingua: «Hanno circumnavigato per anni / le credenze di casa […] finché finirono in camera mia / sentinelle sul comodino, armata / dalla specchiera duplicata / alfieri dei miei scacchi minimali». Con lo sguardo gettato sopra Il Nuovo Mondo, per riprendere ancora il titolo di una delle poesie della sezione finale, l’autore si crea l’occasione per afferrare la coincidenza di lingua e terra, definizione di una realtà sfuggente oggigiorno sempre più in movimento, superando anche il centrale poemetto de I Mirmidoni, già pubblicato e qui reinserito in funzione di cerniera fra i due estremi, luogo di un vertiginoso pastiche storico di presente e passato; e infatti uno degli ultimi testi recita: «dico la voglia / nella scelta della virgola, / nel fissare l’unico aggettivo concessomi, / poiché non c’è spazio / quando ci separa un mondo e non c’è tempo». Ma è anche forse un’altra sottile vena che attraversa questo secondo libro di poesie di Federico Italiano. Il mondo che il poeta descrive pare colto sull’orlo di un soffocamento per eccesso e per accumulo; una realtà umana opulenta sembra schiacciare l’intero globo: «Tutto pesa nei miei taccuini / ma nulla quanto l’addizione». Il viaggiatore si muove dunque su una «terra / anfibia, non tua – nemmeno d’altri – / col gesto incerto di straniero, gli occhi / violenti del turista». Che non ci sia nella catastrofe prospettata dall’Invasione dei granchi giganti anche un sussurrato ma pungente richiamo ecologista o, quanto meno, d’accortezza a un rapporto più coscienzioso tra uomo e spazio abitabile e abitato? 

Guido Mattia Gallerani, in: Punto - Almanacco della Poesia Italiana, 1/2011, pp. 38-39.
Il libro di Federico Italiano ad una prima lettura affascina e disorienta in egual modo. La forte carica visionaria, che si nutre di immagini febbrili e di un lessico venato di stranianti tecnicismi, si unisce ad una sintassi franta, ricca di apposizioni e fantasiose perifrasi. Componimenti come Mr Bellow al salone del mobile e I Mirmidioni, con il loro continuo mescolare proiezioni psichiche e immagini dal mondo reale, fantasie oniriche e allusioni colte, sono ad un primo impatto tanto affascinanti quanto ostici. Il disorientamento, però, è presto mitigato, nelle riletture che il poeta merita, dalla presenza di una fitta rete di temi e di immagini. Allo stesso modo il ritmo franto, scabroso e a tratti scorbutico rivela, quando ci si immerge nei componimenti, lampi di grazia e di umorismo, un umorismo spesso celebrale e non di rado nero. 
Italiano, d’altronde, dissemina tra le pagine implicite dichiarazioni di poetica e raffinati brani metapoetici che testimoniano una tensione verso la costruzione di un libro coerente. Nel componimento Schiller, ad esempio, nel corso di un colloquio immaginario con il grande poeta tedesco, Italiano evoca così le sue poesie: “Gli raccontai di granchi giganti e locuste / e parve sensibile alle mie febbre / indeuropee” (p. 23). Più avanti in La nuova lingua il poeta paragona i suoi esperimenti linguistici ad una sorta di vizio: “Con te presi a fumare, con te, nuova e medesima lingua / le ho fumate tutte, fino al bruciore / notturno sotto la laringe, fino / al raschio verticale.” (p. 69). Nel penultimo componimento della raccolta, metapoetico sin dal titolo, Post scriptum a Josif Brodskij, Italiano mette in relazione i paesaggi dell’infanzia, evocati per mezzo di astrazioni geometriche (“Sono nato e cresciuto tra le risaie piemontesi / dove onde minuscole screziano / la perfezione dei rettangoli e dei trapezi”, p. 81) con la sua propensione ad una poesia venata di simboli «arcaici»: “Poiché non da pianura, / ma dal fronte dei monti fui edotto, / educato alla venerazione del mammut” (p. 81).
Il libro è caratterizzato da una ricerca di un simbolismo allo stesso tempo privato ed universale. Emblematici, a riguardo, i primi tre componimenti nei quali il poeta evoca le piaghe d’Egitto sin dalla scelta degli animali: le rane di Es. 7, 26-28 ne Il tradimento dei rospi e le cavallette di Es. 10, 1-20 ne La nuova età gregaria o l’invasione delle locuste. Al simbolismo biblico Italiano unisce la riscrittura di alcune notizie di cronaca relative al disastroso intervento dell’uomo nell’ecosistema come nel caso della proliferazione di rospi Cane toad che funesta realmente l’Australia, dove l’animale fu introdotto dagli agricoltori nel 1935. Il poeta sceglie di parteggiare per gli animali, sognando una distruzione purificatrice: “perché la piaga sia piena e la punizione completa” (p. 15). Il sogno palingenetico, però, è destinato a rimanere frustrato: “I rospi mi hanno tradito, mi promisero distruzione / completa del nord-est australiano, / ma non fecero che irretire un paio / di contadini” (p. 9), oppure a vivere soltanto nei fogli di calcolo di un ipotetico scienziato: “Prendo le misure degl’invasori [i granchi], incrociando in Excel / tutti i mari del globo”, p. 15). Nella terza parte del libro gli animali assumono un valore diverso ma complementare: da emblemi di una sospirata apocalisse a simboli di un mondo altro e straniante (il tasso di Il voyeur mustelide) e  metafora della malattia (i  polipi di Angina). Proprio nel caso del simbolismo legato agli animali si può misurare la straordinaria perizia di Italiano nel tessere le sue trame simboliche. Con Angina, infatti, si chiude il circolo aperto con i primi tre componimenti: l’immagine evocativa degli animali che invadono le piane australiane, i campi, i mari si salda alla conturbante invasione dei polipi che si nascondono “sotto il letto”, nella cesta della biancheria, nel lavandino. Dai grandi spazi marini divorati dai granchi giganti, una sorta di immagine bellica che allude alla Seconda guerra mondiale, si passa agli spazi della casa/corpo invasa dai polipi.
Pur essendo organizzato in tre sezioni, il libro a mio avviso è di fatto bipartito. Dopo lo spartiacque rappresentato dal lungo e a tratti macchinoso poemetto I Mirmidioni, infatti, il libro esce progressivamente dalla dialettica sogno/archetipo (le piaghe d’Egitto, i popoli primitivi indoeuropei) per lasciare uno spazio sempre maggiore ad una originale forma di poesia lirica. A partire dalla bellissima Il Dolmetscher dei congiunti si intrecciano tra loro tre nuovi temi: il tema della malattia e della morte, il tema dell’infanzia, il tema della consunzione del linguaggio. La misura più breve e la materia più scottante regalano ai versi un’emozionante vigore. In questi componimenti il poeta allontana sia la tentazione, sempre ricorrente, del poemetto alla Eliot sia una versificazione troppo celebrale e di maniera. Così facendo Italiano raggiunge una maggiore forza espressiva. Bellissimo, ad esempio, il dittico dedicato alla nonna Diagonale del sacro e Requiem per un’ostetrica, e la poesia dedicata al padre, L’odore nuovo. I tre temi di cui abbiamo detto in queste poesie si fondono perfettamente. Per fare un solo esempio, in Requiem per un’ostetrica si evoca la malattia della nonna attraverso le incongruenze linguistiche della donna che applica il linguaggio tecnico della ginecologia alla vita quotidiana (I tuoi oracoli erano ginecologici: / nel dire utero ti calmavi / […] E quando il nonno dalle dita di rovere / si tagliava in cucina: lacerazione del labbro superiore, / nulla di grave, un corpo elastico regge ben altro”, p. 66). La malata, intrappolata nel suo letto, finisce con essere identificata dallo sguardo partecipe del poeta con il suo stesso linguaggio: “la lingua fu tutto il tuo essere negli anni / del congedo” (p. 67). Allo stesso tempo è una sorta di metafora/gioco di parole ad introdurre il tema della malattia all'inizio del componimento: “La malattia ti aveva conservata sotto spirito / - una ciliegia al maraschino” (p. 65). L’immagine incongrua ma fantasiosa evoca lo sguardo e la logica dei bambini, quella logica e quello sguardo che avevano aperto anche L’odore nuovo: “Deglutivo ogni giorno un misurino /  di cielo nelle braccia della zia. / La mia prima equazione / fu papà = jumbo jet” (p. 61). Il libro dunque si evolve senza strappi apparenti. Italiano scava a poco a poco nel cumulo delle immagini e dei simboli cari al suo immaginario, affastellati forse con troppo ricchezza nella prima parte. Il lettore, parallelamente, impara a muoversi nelle mappe mentali del poeta. Il libro approda alla progressiva messa fuoco di una voce compiutamente originale. 


Lorenzo Geri, in Poesia 2010-2011. Quindicesimo annuario, a cura di Paolo Febbraro e Matteo Merchesini, Roma: Perrone, 2011, pp. 225-228.

Nello stesso annuario, la raccolta L'invasione dei granchi giganti è nominata tra i sette libri migliori del biennio 2010-2011, ivi p. 162. 

 











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