Scritti sulla mia poesia
Antologia della critica 2000-2005
"Federico Italiano è un caso anomalo nella sua generazione, non foss’altro per la ricchezza lessicale delle sue poesie. Ricchezza che lo porta ad allargare lo spettro anche alle lingue straniere, prevalentemente il tedesco (egli vive in Germania). […] Ma, attenzione, non si tratta di ostentato plurilinguismo. Italiano non desidera sperimentare: semplicemente non si nega alle parole e ai nomi che incontra. […] Se c’è un poeta che fa i conti con una (o con la) dimensione primordiale, è Federico Italiano. […] La grande, potente capacità mitopoietica di questa poesia, basterebbe da sola a fare di Italiano un poeta da cui ci possiamo aspettare grandi cose. […] Non è nelle sue corde riscattare le piccole cose. Sua è la grande epica, sue sono le stratificazioni geologiche dell’Io di cui parlava Gottfried Benn."
Giorgio Manacorda, in: Samiszdat. Giovani poeti d'oggi, a cura di Giorgio Manacorda, Castelvecchi, 2005, p. 85 [cappello introduttivo] |
"È segno di salute che la poesia presenti articolazioni, indici di lavorazione, percorsi di senso, evitando però di pronunciare una parola definitiva sul suo significato; così non può che far piacere che il libro di Federico Italiano (nato nel 1976), ventidue poesie suddivise in cinque sezioni inaugurate da un esergo plurilingue, risulti percorribile, anche se non facilmente esauribile, con stili di lettura e di interpretazione molto diversi. […] Nel titolo prescelto, proveniente da un sonetto di Shakespeare, l’autore riunisce i due versanti della sua ricerca; la “costanza” è tanto la forza lucida del pensiero, che non desiste dai suoi obiettivi, quanto, nell’etimo, lo stare assieme, l’incontrarsi, il convivere. E se il pensiero raziocinante è attività propria dell’io (il soggetto ragionante è un vero cardine della raccolta), l’incontro con l’altro, sperimentato al di fuori di ogni comunione profonda o estatica, è ciò che limita tale pensiero per vocazione tendente all’onnipotenza, e lo conduce alla giustizia, al riconoscimento. Questa dimensione etica, una delle cose più belle del libro, parte dalla constatazione di una distanza (l’altro mi viene incontro, io lo vedo di fronte o accanto a me; l’etica, scriveva Lévinas in Totalità e infinito, è prima di tutto un’ottica) e si sviluppa nella cura di mantenere tale distanza che unisce, tale vicinato che però non deve ridursi mai a identità. L’io è il punto di entrata nel rapporto che, attraverso il linguaggio, si stabilisce con l’altro; la comprensione sarà sempre un’opera di traduzione dalla lingua che l’altro parla. ma è proprio il pensiero della costanza, dell’effimero, transitorio condividere una separatezza, in cui l’altro non può essere assimilato, che indirizza l’opera verso il faticoso lavoro della giustezza, della giustizia: «Se non fossi al mio fianco, / anche semplicemente per il caffè / pomeridiano, fuggirei senza remore / le parole giuste, evitando, / rinnegando la disciplina della sincerità / che spinge a tradurre corteccia / con corteccia e mai con mai»."
Federico Francucci, Poesia, n. 192, marzo 2005, ora in: Federico Francucci, La carne degli spettri. Tredici interventi sulla letteratura contemporanea, Edizioni OMP, Pavia, 2009, pp. 105-106. [Recensione a Nella costanza] |
"[…] Italiano è uso varcare quel confine che divide la realtà e il linguaggio, l’interiorità e la forma, il trasporto emotivo e il rigore della speculazione. Leggendo i suoi versi nitidi e calibrati provo a tratti la stessa sensazione, tra estraneità e fredda sicurezza, con cui percorro i corridoi illuminati degli aeroporti, entro in un duty free, mi siedo in una sala d’aspetto alla stazione. La sua è una 'lingua di frontiera'."
Franca Mancinelli, Pelagos, n. 10, 2004 [recensione a Nella costanza] |
"[…] Quanto meno un poeta rimane schiacciato sui suoi modelli, tanto meglio riesce a fare poesia propria: questo è il primo scoglio che deve superare un giovane poeta. […] Mi pare che Italiano superi questo problema agilmente: le voci degli altri poeti che pur si sentono, da Raboni a Heaney, non si stagliano quasi mai in primo piano, ma rimangono sussurranti sullo sfondo. […] “Se ci dimenticassimo di raccontare // le ore inutili, di redigere i nostri rapporti / sulla dispersione, anche il desiderio, caro Maerten, / l’acqua di cui siamo per due terzi imbevuti // si prosciugherebbe nel nostro corpo”. Italiano racconta situazioni e storie, in bilico tra tramatura psicologica e fattuale: i potatori di siepe di Hasenbergl, Basilius il panettiere, il trasloco autobiografico (e quanto autobiologico!), il custode della Glittoteca di Monaco, il commesso di enoteca, l’insegnante di tedesco per stranieri, ecc. […] Con autori di questa sensibilità, che parlano di emozioni ed eventi condivisibili da tutti (ricordate Lautréamont? “La poésie doit être faite par tous”), si può ben sperare che la poesia smetta di essere lo zimbello dei mezzi espressivi e pian piano riconquisti una sua centralità nella vita culturale e morale del nostro disastrato paese.
Flavio Santi, L'immaginazione, 2004 [recensione a Nella costanza] |
"Un buon giardiniere della poesia ha con ragionevole diritto la facoltà di ristabilire il senso, ma anche la geografia, oggi un po’ sgualcita, di quei viaggi che hanno confortato l’arte della precarietà coltivata da certi scrittori. Da Bazlen a Salinger, da Fante a Neri, tanto per accordarci le idee sui due lati opposti dell’Atlantico, e con un accostamento così avventato da apparire casuale. E di “precarietà” molto flessibile intendo, essendo costoro in possesso di un’invidiabile natura universale su quanto concerne la scrittura. E chissà perché proprio questi nomi mi vengono in mente leggendo Nella costanza di Federico Italiano, a conferma di un precedente ritrovamento nelle pagine dell’antologia I poeti di vent’anni curata da Santagostini e prodotta da Cucchi. Tanto più che in questi versi vi sono ricordi, selezioni, sentinelle che richiamano e riportano, se mai, all’Est europeo (ma di più nelle prime pagine), perlustrando i valichi svizzeri e procedendo verso l’Austria e la Bulgaria, secondo una rotta che Bazlen, lui sì, avrebbe riconosciuto e trovato conveniente [...] Anche se per la verità in tutte le pagine resta un soffio di chiaro disincanto che sarebbe piaciuto a Hofmannsthal, una tenue luce crepuscolare contrapposta al senso di ordine e lucidità tipico dell’alba. […] Proprio agli eventi quotidiani l’attenzione si rivolge, dalla seconda parte del libro in poi, e con una cura del particolare che impedisce alle ore e ai minuti di sgretolarsi, insieme all’intonaco di quella stanza che diventa il luogo primario, se non prediletto, di Italiano. [...] Mi pare che l’uso dell’ottica qui venga esaltato da una specie di steady-cam, capace di girare su se stessa, di alzarsi e abbassarsi senza perdere il senso del movimento. Senza perdere, soprattutto, il tratto filosofico riportato dalle cose, come in presa diretta. […] È come se venisse scrutato l’impianto geologico di un interno, e vi si tenesse un corso di formazione sulla filosofia dei materiali edilizi, o per meglio dire, sulla logica degli ambienti, compreso un compendio sui diversi modi di guardare dalla finestra. Con tutto ciò che ne consegue, dal punto di vista dell’etica della comunicazione – come nella poesia sui pompelmi: “I pompelmi vivono della morte / per bocca, tra la lingua e la saliva / fermenta il loro riconoscimento, / nel commercio a esaurimento di scorte / propongono, irripetibile offerta, / il loro tutto e l’ultima loro gioia / sarà la mutazione / fisica, ma non più loro soltanto.” Poesie dove convivono la realtà messa senza mezzi termini su uno scaffale e l’organica rappresentazione della personalità espressiva: in uno scambio continuo di pesi e misure, di attese consumate fra sguardi e oggetti d’uso, tutti molto intimi, anzi impregnati di naturalezze erotiche come i gesti di una madre alle prese col proprio neonato o la condivisione spaziale dei corpi all’interno di una sauna [...]"
Elio Grasso, Atelier, n. 35 settembre 2004 [recensione a Nella costanza]
Elio Grasso, Atelier, n. 35 settembre 2004 [recensione a Nella costanza]
[…] Può la crescita vegetale di
cappotti, tubetti, libri e scartoffie che si sommano come un passaggio
successivo di ere geologiche in una stanza diventare materia epica? Sì, ci
conferma Italiano. Così come c’insegna che il poeta è colui che indistintamente
si ciba di linguaggi eterogenei, diversi, arricciati sotto la carta argentata e
fumante di altre discipline, di altri studi. […] E finalmente, con la
costanza certosina di un predatore che dopo essersi saziato rosicchia
lentamente le ossa della preda (passata la furia fobica della fame), Italiano
lucida le lamiere ammaccate e arrugginite della nostra poesia, le ammira
brillanti e poi passa oltre, seguendo quel suo sguardo che è già oltre.
Davide Brullo, Il Domenicale, 17 gennaio 2004 [recensione a Nella costanza] |
[...] La sua è una poesia supernutrita e divertente, satura di un'intelligenza concreta che impegna il verso sconfiggendolo, ritrovandosi intera solo nella dimensione della strofa. Ha un'immaginazione impietosa che si scalda soltanto per riprodursi e approfondirsi, mirando al massimo risultato: un'oltranza fredda, avvincente e cospicua che equivale a uno degli esordi più rilevanti degli ultimi tempi.
Paolo Febbraro, Editoriale, in: Poesia 2004. Annuario, a cura di Giorgio Manacorda, Castelvecchi, Roma, 2004, pp. 21-22 [a proposito di Nella costanza] Nello stesso numero dell'annuario curato da Manacorda, si veda anche: Fabrizio Bajec, pp. 280-281 [recensione a Nella costanza] |
Abbiamo
qui il privilegio di ascoltare la voce di un poeta nel tratto miracoloso della
sua rivelazione a se stessa. Federico Italiano è, infatti, un autore che,
malgrado abbia alle spalle riconoscimenti ed esperienze importanti, sta ora
compiendo il passo decisivo. Quali sono i sintomi di questa evoluzione? Una lievitazione
sempre più sicura dei testi, la loro maggiore coesione stilistica, il lavoro
sotterraneo che si compie ad ogni verso nei confronti del tempo. / Mentre
le parole si dispongono in strofe e strutture posate ma non preziose, prossime
alla cesellatura formale ma raccolte primariamente intorno a un principio
interno di ordine, non del tutto esplicabile, i ricordi, le scene, le
descrizioni che occupano il suo interesse si sollevano dalla temporalità
ordinaria e restano sospese in una condizione metafisica (e azzardiamo il
termine memori anche della formazione filosofica dell’autore) che non annulla
la loro completa inerenza al mondo, ma tramuta i vissuti biografici e i dati
esperienziali fino a renderli emblemi di una fenomenologia poetica. Tutto è
come sul punto di accadere, mentre i luoghi, i personaggi, le vicende si
dipanano davanti ai nostri occhi oppure tutto è già accaduto e il testo ci
abbandona lasciandoci il suo inesauribile e semplice segreto, come fossimo
stati ingannati. / Eppure,
alla fine ci si rende conto che non c’è reticenza, che tutto è stato detto –
talmente bene che il mondo, con la sua inesauribilità alterità, è stato
preservato e raccontato. Il fatto è che la voce di questo poeta (e sia questa
un’ipotesi intrigante tutta da verificare in futuro) pare soffiare con
disinvoltura tra le maglie classificatorie della tradizione, come se mirasse
consapevolmente a conquistarsi un respiro internazionale, un’anima libera di
assumere corpi (linguistici) diversi, perfettamente traducibile. Ecco, allora, il
prodigio di un poeta spiato nell’attimo della sua metamorfosi prima, intento a
codificare non tanto la cifra stilistica in cui va insediandosi, ma la legge
segreta della trasmutazione, inscritta nell’ombra di ogni data.
Marco Merlin, in: Atelier. Trimestrale di poesia critica letteratura, 28/2002, p. 88 [nota a "La geometria dell’ordinario"] |
“… Nelle sue poesie prevale di norma una misura endecasillabica rispettosa dei canoni, spesso è presente la rima e non mancano i tentativi riusciti di ottenere attraverso la reiterazione delle parole o delle frasi effetti di vera e propria “cantabilità”. E tuttavia, Italiano sembra quasi volersi sottrarre alle proprie inclinazioni musicali ed impressionistiche […] Così una pronuncia originariamente assai limpida si ritrova spesso fratturata, spezzettata. La “tenuta” degli apparati metrici garantisce però un ordine armonico di fondo, anche laddove le poesie di italiano appaiono costituirsi attraverso la ricucitura brusca di frammenti frastici in precedenza decontestualizzati. Se in questi casi è evidente l’influenza di autori appartenenti a generazioni anteriori (tra tutti sembra spiccare Giancarlo Majorino), affiora il rischio di una poesia ardua, ostica. Ma in Italiano, oltre che una già notata alta sensibilità ritmica, è presente anche una forte tensione antagonistica, un’attenzione polemica al “civile” che lo porta spesso a innalzare decisamente il tono del dettato, a uscire dai binari degli ossequi verso la forma per instaurare un discorso più diretto, quasi oratorio…”
Mario Santagostini, in: I poeti di vent’anni. A cura di Mario Santagostini, Brunello (VA): Stampa, 2000, p. 94 [capello introduttivo] |