Forse mi sbaglio, ma poco importa. Sono convinto di averlo visto, ieri, sotto le ultime lastre di ghiaccio saldate alla riva ghiaiosa dell’Isar. Passavo da un ponte non lontano da casa, quando una luce inaspettata squarciò il grigio di febbraio e illuminò di sbieco la piccola ansa che cinge l’isolotto del Deutsches Museum e lì riconobbi la sua bocca immensa, il taglio da Joker che gli spinge le labbra ben oltre gli occhi, il suo corpo affusolato e quasi rotondo. Il salmone del Danubio, o Huchen (Hucho hucho, Linnaeus 1758), è un pesce schivo, non si fa vedere spesso, e ancor meno in fiumi costellati di chiuse come l’Isar. Per la sua mole (può arrivare a 150 cm di lunghezza), per la sua riservatezza e per la potenza, con cui vince l’amo del più abile pescatore, il salmone del Danubio è diventato una specie di leggenda limnetica, un mito d’acqua dolce. Forse mi sbaglio e si trattava dell’ombra di qualche uccello di passaggio, magari d’un airone annoiato e stanco del freddo. Del resto, se ne vedono sempre più spesso di aironi anche d’inverno da queste parti, con le zampe nell’acqua gelida dei fiumi o dei laghetti e la testolina intirizzita, fissa sui canneti a riva. In ogni caso, voglio credere d’averlo visto, il salmone del Danubio. Chissà se c’è una parola per definire chi ama osservare i pesci da un ponte cittadino? Forse fishwathcher sullo stile di birdwatcher? Oppure potrebbe anche essere qualcosa con -filìa, alla stregua della critoscopofilia, ossia l’urgenza di sbirciare, passandovi accanto, nelle finestre delle case (crytoscopophilia, Oxford English Dictionary), una sorta di voyeurismo da passeggio, insomma. Del resto, osservare un pesce dal ponte, nella sua quotidiana lotta per la sopravvivenza, è po’ come guardagli in casa attraverso le finestre liquide del suo ritiro. Con potamo- e scopo- si potrebbe coniare una poco probabile, ma foneticamente fluviale potamoscopofilia...
AuthorFederico Italiano © Daniel K. Zegnalek
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March 2019
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