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La cucina del Capitano Nemo

1/30/2015

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Uno dei menù che sogno fin da bambino è quello offerto dal Capitano Nemo ai suoi nuovi ospiti (/prigionieri) a bordo del Nautilus. Sono tornato su quel curioso passo culinario di Vingt mille lieues sous les mers (1869-1870) proprio in questi giorni, per via di un saggio cui sto lavorando, e voglio proporlo oggi nella mia versione italiana.

Il professor Aronnax, ancora tutto eccitato per le meraviglie intraviste nel Nautilus, viene condotto dal suo misterioso ospite e custode, il Capitano Nemo, nella sala da pranzo. Poiché Nemo gli aveva rivelato come tutto, nel Nautilus, provenga dal mare, Aronnax non capisce come anche solo una particella di carne possa dunque figurare nel menù propostogli dallo chef submarino. Sebbene ancora un po’ intimorito da Nemo, Aronnax non si trattiene – per nostra fortuna – dal chiedergli quale origine abbiano le vivande offertegli. Nemo gli risponde così:

"[…] Ciò che credete essere carne, caro Professore, altro non è che un filetto di tartaruga marina; ecco qui del fegato di delfino che potreste ugualmente prendere per un ragù di maiale. Il mio cuoco è un abile préparateur, che eccelle nella conservazione degli svariati prodotti dell’Oceano. Assaggiate pure tutte queste portate. Ecco una conserva di oloturie che un malese dichiarerebbe senza rivali al mondo; ecco una crema il cui latte proviene dalle mammelle dei cetacei e lo zucchero dalle grandi piantagioni d’alghe nel Mare del Nord; e, infine, permettetemi d’offrirvi della confettura d’anemoni che nulla ha da invidiare a quelle prodotte coi frutti più saporiti."


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Il mio hummus preferito a Gerusalemme

1/26/2015

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Nella Città vecchia, a Gerusalemme, a metà strada circa tra le Porte di Damasco e Giaffa, c’è un piccolo ristorante arabo, ben noto ai gerosolimitani di ogni estrazione e appartenenza per l’eccellenza del suo hummus – alcuni sostengono sia addirittura il migliore del mondo. Entrando, lo sguardo cade subito su un grande pentolone di ghisa, oltre il bancone, fumante di ceci e spumato d’amido sul bordo. Accanto, un uomo robusto, perfettamente rasato e col sorriso di chi le ha viste tutte scolpito sotto il naso, guarnisce le generose porzioni di hummus con ceci interi o fūl, olio e prezzemolo. Al Lina Restaurant mi ci portò per la prima volta un amico poeta, un ebreo argentino da anni ormai residente a Gerusalemme, docente di Letterature latinoamericane presso la Hebrew University. Si parlava, ricordo, di Borges, Onetti e Juan José Saer, mentre la cremosa (trans-etnica e trans-religiosa) purea di ceci, servitaci con pinoli leggermente scottati, pita calda e cetrioli sottaceto, ci strappava reiterati mormorii di consenso. Una luce gialla, come un riflesso di sabbie antiche, penetrava dalle vetrine, poggiandosi sul frigorifero delle bibite e sul tavolo animato di due studentesse, trasfigurando gli iPhone deposti e gli auricolari in talismani giapponesi.

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Il Re Granchio della Kamčatka

1/16/2015

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Non molto tempo fa, un amico poeta mi chiese se i granchi de L’invasione dei granchi giganti (Marietti 2010) appartenessero a una specie particolare, oppure discendessero da un’idea di granchio, dalla figura archetipica di un decapode. A prescindere ora dalle illusioni della referenzialità, un granchio preciso l’avevo sì in mente: il Paralithodes camtschaticus (Tilesius 1815), ossia il Granchio gigante, detto anche il Re Granchio della Kamčatka. Ricordo – saranno passati dieci anni – che me ne stavo comodo sul divano di casa, quando mi caddero gli occhi, già un po’ appesantiti, su un documentario. Si raccontava di un’invasione di giganteschi granchi rossi, provenienti dallo stretto di Bering, che stava mettendo seriamente a repentaglio la pesca al largo delle coste nordorientali della Norvegia. Si spiegava che erano i pronipoti di granchi che i sovietici avevano trapiantato nella Baia di Murmansk anni addietro per sfruttare al meglio il commercio della loro “carne acidula”… Tra plumbee inquadrature su mari gelidi e lunghi primi piani sui volti induriti dal sale di pescatori norvegesi, mi addormentai nel giro di pochi minuti, ma il giorno seguente avevo già metà della poesia in testa prima del caffè mattutino. "Giunsero da Vladivostok..."

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Poesia, mappe e granchi giganti

1/15/2015

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In questo spazio ibrido – un luogo volutamente indefinito tra laboratorio e vetrina digitale, Wunderkammer e cucina virtuale, foro e atrium, florilegio e mortaio – che, per convenzione, chiamerò blog, troverete notizie, riflessioni, ricette, mappe, spunti iconici e filosofici screzi su temi disparati, per la maggior parte orbitanti attorno al pianeta poesia, ma non solo… Chi vorrà seguirmi s’imbatterà anche in post che tratteranno, per fare degli esempi, del senso traslato della Corellian Trade Spine nella Galassia di Star Wars, delle origini del romanzo post-apocalittico o del mio hummus preferito a Gerusalemme.


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