È uscito Grand Tour. Reiesen durch die junge Lyrik Europas, un'antologia della giovane poesia europea, che ho curato insieme al poeta tedesco Jan Wagner per i tipi del Carl Hanser Verlag e con il patrocinio della Deutsche Akademie für Sprache un Dichtung. La selezione è strutturata in sette viaggi attraverso sette paesi non confinanti l'uno con l'altro, onde evitare sia gerarchie cartografiche sia imposizioni alfabetiche – data la presenza, tra gli altri, di cirillico, ebraico, greco, georgiano e armeno. Per informazioni sulla tournée di letture in diverse città europee, vi invito a consultare la pagina dedicata all'antologia presso il sito della Deutsche Akademie für Sprache un Dichtung.
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I am happy to announce that Mythos – Paradies – Translation. Kulturwissenschaftliche Perspektiven has now been published (Bielefeld: transcript 2018). It is a Festschrift, namely a celebrative book or a liber amicorum if you prefer, I co-edited with Daniel Graziadei, Christopher F. Laferl and Andrea Sommer-Mathis in honour of my mentor Michael Rössner. Here you can find the table of content and our introduction: extract.
I am happy to announce that the special issue of the Austrian peer-reviewed literary journal Sprachkunst on Primo Levi has now been published. Edited by Manuela Consonni and Federico Italiano, it features articles by Mario Barenghi, Uri S. Cohen, Martina Mengoni, Camilla Miglio, Iris Milner and Domenico Scarpa. "[...] This special issue on Levi, which is the result of an intense and fruitful workshop held in November 2015 at the University of Innsbruck, Primo Levi: Tradition, Translation, Transmission, in cooperation with the Hebrew University of Jerusalem, is being published thirty years after Primo Levi’s death. Delving into the complex relationship that exists between testimony, storytelling, and beingtowards-death, the following articles investigate three main aspects of Levi’s work: the role of testimony within the complex framework of post-WWII Italian literary culture, the existential and philological problems involving being translated into another culture and language, and Levi’s achievement as a writer tout court. Precisely because of the great diversity in how and when Levi’s work has been received, the choice on what to include was not an easy one. We decided to focus mainly on the essays that we believe will have a significant influence and leave an impact on Levi critics, representing an important contribution, each on its own, to the ongoing discussion on the author from Turin, on his literary quality, and on his deontology of witnessing." For more, see here.
We tend to consider translation as a cultural activity that enables communication and, in this sense, as something useful, good, virtuous and bright. Translation, however, can also be an instrument of concealment, silencing and misdirection – something that darkens and obscures. Postcolonial scholars have broadly shown this, but the dark side of translation is not limited to imperialism. Propaganda, misinformation, narratives of trauma and imagery of the enemy – to mention just a few of the gloomy phenomena that shape our lives – show communication patterns by which translation either works as a weapon or constitutes a space of conflict.
So what does this dark side of translation look like? How does it operate? What are the shades and nuances that we can identify and study? What does the “dark” colonial practice of translation have in common, for example, with the obscurity that pervades the uncanny dimension of translation? The 2017 annual conference of the IKT will explore these issues, reuniting international scholars from a range of disciplines including philosophy, translation studies, literary theory, ecocriticism, game studies, history and political science. If we want to understand the forces that steer and shape communication, it is also crucial to try to fathom translation in its most unpleasant and murky configurations. Concept: Federico Italiano Program Da qualche settimana è in edicola (adoro quest’espressione, anche se suona un po’ antiquata) l’ultimo numero di Critica letteraria (174, 1, 2017), in cui troverete, tra tante belle cose, anche un mio articolo sulle isole (proto)moderniste di Guido Gozzano, Francis Jammes e Gottfried Benn. In quelle pagine, ho cercato di approfondire le ragioni per cui reputo “La più bella!” di Gozzano non tanto una poesia emblematica del modernismo italiano quanto piuttosto un testo paradigmatico delle tendenze transnazionali del modernismo. La mia tesi è che Gozzano non fantastichi a caso d’isole, ma che la sua scrittura cartografica, e in particolare l’immaginario insulare che la informa, partecipi di un più vasto sentire a lui contemporaneo che percepisce nell’isola – sia essa reale o immaginaria, presente o assente, agognata o paventata – un paesaggio necessario, un modello spaziale con cui confrontarsi, un ecosistema in cui località e globalità si fondono paradigmaticamente. Partendo dal testo gozzaniano, ho perlustrato altre isole della poesia (proto)modernista, di poco precedenti e successive a La più bella di Gozzano. In particolare, mi sono soffermato su un paio di testi della raccolta De l’Angélus de l’aube à l’Angélus du soir (1898) di Francis Jammes – nume tutelare di Gozzano, poeta simbolo della crisi simbolista e grande ispiratore del Modernismo classico – e sulla poesia “Palau” (1922) di Gottfried Benn – forse il poeta lirico più originale e autorevole del modernismo tedesco.
Se vi interessa approfondire, qui trovate l'articolo – o altrimenti scrivetemi. È uscito in questi giorni un numero speciale della rivista «Arcadia», a cura mia e di Helga Thalhofer, dedicato al rapporto tra navigazione, letteratura e globalizzazione: Schiff und Schrift: Zum Verhältnis zwischen Literatur und Globalisierung. Tra le altre cose, il numero offre riflessioni sul carattere “deterritorializzato” della topografia omerica; saggia le tensioni tra poesia, scienza e cartografia nei Lusíadas di Camões; analizza le interferenze mediatiche in Vingt mille lieues sous les mers di Jules Verne; esplora il concetto di “mondo”, partendo dal microcosmo della balieniera Pequod in Moby-Dick; or, The Whale; e sonda, infine, la dimensione spettrale di navi e battelli nella poesia di Coleridge e Rimbaud. Arcadia. International Journal of Literary Culture, 51 (Nov 2016) 2. J. M. W. Turner, A Ship Aground, circa 1828.
Per la copertina del mio ultimo libro è stata scelta una rappresentazione topografica della battaglia di Livorno attribuita ad Alfonso Parigi il giovane (inchiostro e acquarello su carta 345 x 460 mm). Stando al titolo, apposto in testa alla legenda (in basso a sinistra), Alfonso avrebbe ultimato questa “pianta e veduta” il giorno stesso della battaglia, il 14 marzo 1653. Dovesse questo corrispondere al vero, potremmo immaginarci il nostro architetto, specializzato in scenografie per teatro, appostato sul tetto o terrazzo di qualche palazzo livornese, con una buona vista sul porto, godendosi lo scontro delle due flotte nemiche (una declinazione bellica del topos lucreziano “naufragio con spettatore”). La battaglia, vinta dagli olandesi guidati dal Commodoro Johan Van Galen, è ricordata in Inghilterra col nome inglese di Livorno, Battle of Leghorn. Questo toponimo così perfettamente britannico, dal conio quasi tolkiano, potrebbe indurre chi non avesse familiarità con la storia inglese, o col vecchio nome anglosassone del porto toscano, ad immaginarsi la Battaglia di Leghorn presso un qualche esotico (ovviamente inesistente) baluardo marino del Commonwealth, forse in Nuova Zelanda, o in Canada o in una qualche isola del Caraibi anglofoni. Come ricordava già nel 1854 l’ammiraglio William Henry Smyth, “gli antichi geografi d’Italia, prima che si completasse definitivamente la trasformazione del latino in italiano volgare, erano usi scrivere in un modo più simile al nostro [inglese]. Nel bel portolano di Canachi figurano Legorno, Florentia e Neapolis al posto dei moderni Livorno, Firenze e Napoli […] E lui [Nicolo Canachi] ha sempre scritto Leghorn in caratteri greci Λεγορνο; e altri della stessa epoca (1550 circa) la chiamano Legorne, Ligorna e Ligorno – toponimo, quest’ultimo, che fu utilizzato da Crescentio [Bartolomeo Crescentio Romano] nel 1607.” * Ora che ci penso, anche la copertina dell’antologia della poesia italiana contemporanea, che ho curato nel 2013 per Hanser con Michael Krüger, ha un motivo livornese: la Terrazza Mascagni… Insomma, se già il mercante britannico Peter Mundy (1608-177) nei suoi diari di viaggio scriveva che “Leghorne [Livorno] è la città più graziosa, pulita e piacevole che abbia mai visto”, ** un motivo ci sarà. * William Henry Smyth, The Mediterranean: A Memoir Physical, Historical, and Nautical, 1854, London: John W. Parker and Son, p. 409. ** “Leghorne is the neatest, cleanest and pleasantest place that I have seene, their houses painted without side in Stories, Landskipps, etc., with various Coulors, makeing a verie delightfull shewe. There they observe a Custome called Prattick, and is near two dayes journie from Florence.” The travels of Peter Mundy in Europe and Asia, 1608-1677, Cambridge: Hakluyt Society, 1907, Vol.1, p.16–17. Sulla rivista L'EstroVerso narro brevemente di come ha preso forma Un esilio perfetto. Poesie scelte 2000-2015 (Feltrinelli 2015), accennando inevitabilmente anche al “dove”, ai luoghi, ai traslochi, alle migrazioni che lo hanno definito. La carta qui sotto può essere di parziale aiuto. Il mio intervento e qualche estratto dal libro li trovate invece qui Una carta topografica di Monaco di Baviera (Altstadt-Lehel) tratta da una guida Baedeker del 1910.
Curiosando nei volumi della Novara-Expedition (1857-59) – la più importante spedizione scientifica su scala planetaria dell'Imperial Regia Marina dell'Impero Austro-Ungarico, voluta e finanziata, tra gli altri, dal mio nuovo datore di lavoro, l’Accademia Austriaca delle Scienze – mi sono imbattuto nella figura alquanto affascinante di un naturalista tedesco, Franz Wilhelm Junghuhn. Esperto di geologia e botanica, Junghuhn è noto soprattutto per le sue ricerche sulla geografia, geologia e botanica dell’Isola di Giava, dove risiedette molti anni, ricevendo spesso visite da viaggiatori ed esploratori occidentali, tra i quali, appunto, alcuni membri della fregata SMS Novara. All’inizio del capitolo dedicato a Giava (Geologischer Theil, Bd. 2), Ferdinand von Hochstetter, il geologo della spedizione, scrive: “Java und Junghuhn! beide Namen sind unzertrennlich” (“Java e Junghuhn! Un binomio inscindibile”). Come molti altri suoi colleghi naturalisti ed esploratori ottocenteschi, anche Franz Junghuhn, detto non a caso “Humboldt di Java”, fu autore di schizzi, carte e litografie anche di grande pregio artistico. Ve ne propongo qui due che hanno vigorosamente stimolato la mia immaginazione. Litografia del Lago Patengan dal Java-Album di F. W. Junghuhn (Lipsia 1856) Profilo longitudinale dell'Isola di Giava da F. W. Junghuhn
Java, seine Gestalt, Pflanzendecke und innere Bauart. Erster Band (Lipsia 1857, seconda edizione). Questa settimana, all’Università di Innsbruck, nella cornice barocca della Claudia-Saal, si terrà un simposio internazionale su Primo Levi. Tradition, Translation, Transmission (17-19 novembre 2015). Il programma ufficiale e altre preziose informazioni le potete trovare qui e sul sito del Centro Primo Levi.
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AuthorFederico Italiano © Daniel K. Zegnalek
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March 2019
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